Scarsamente remunerativo e coltivabile solo a prezzo di grosse fatiche, difficilmente sopportabili dalle esigue forze rimaste in un territorio soggetto a progressivo spopolamento. Il destino del Timorasso, un’autentica “perla” tra i vitigni piemontesi ma legato purtroppo ad una viticoltura “di frontiera”, era ormai segnato quando è intervenuta la determinazione di Walter Massa, vignaiolo in quel di Monleale, nella bassa valle del Curone, in provincia di Alessandria. A questo “cocciuto romantico”, come è stato definito dalla Guida del Gambero rosso, si deve non solo il recupero del Timorasso ma anche la rinascita della viticoltura dei Colli Tortonesi. Stimolata dal suo esempio, infatti, si è fatta strada a poco a poco una nuova generazione di viticoltori che hanno deciso di investire in vigna, nonostante i problemi legati ad un’attività divenuta col tempo marginale e al diffondersi della temibilissima flavescenza dorata.
Nel salvataggio del Timorasso anche la grappa ha svolto un ruolo prezioso. A stimolare Walter Massa a coltivarlo e vinificarlo in purezza è stata infatti Antonella Bocchino, della famosa distilleria di Canelli, alla ricerca di vitigni rari per le sue acqueviti di maggiore pregio. Ad illustrare le eccezionali virtù di questo vitigno autoctono tortonese, i cui meriti sono stati riconosciuti, tra gli altri, dall’autore bolognese Pier de Crescenzi nel XIV secolo, interviene il celebre enologo Donato Lanati, il cui giudizio è raccolto nel volume “I segreti del gusto”, edito dalla Stampa in collaborazione con Slow Food: «assolutamente paragonabile ai Bourgogne, ricco di norisoprenoidi (profumi che si formano già nelle uve, ma che si esprimono nei vini bianchi di età), vanta un quadro aromatico che farebbe invidia ai Riesling della Wachau in Austria. Ogni tanto si ritrova in chiave moderna ciò che esisteva già prima e si prova una grande emozione».
Il Timorasso Derthona firmato Vigneti Massa ha tutte le caratteristiche del vino con grande personalità e struttura, capace di reggere un intero pasto. Di colore paglierino, vanta profumi floreali con sensazioni agrumate e in bocca si presenta pieno di grinta e persistente, con un buon livello alcolico bilanciato da notevole freschezza minerale. Da segnalare anche l’ottima tenuta all’invecchiamento e l’accoppiata con un piatto di punta della gastronomia locale, le fagiolane della Val Borbera (fagioli rampicanti a semi bianchi della varietà Bianco di Spagna), arrivate anch’esse sull’orlo dell’estinzione ed ora facenti parte dei prodotti dell’Arca del Gusto sotto l’egida di Slow Food.
Barbara Mengozzi
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